sabato, dicembre 27

THYMOS

Affrontiamo ora un dilemma che da migliaia di anni affligge l'uomo, e in particolare l'Uomo Rinascimentale, ovvero l'esistenza del libero arbitrio. Posto che, in quanto animale, l'uomo sia dotato di istinto, ci si puó chiedere se e cosa ci distingua dagli altri animali. La razionalitá non é di per sé sufficiente, in quanto essa é presente anche negli animali, sebbene in stato embrionale, ed é evidente nella capacitá di alcune specie di apprendere dall'esperienza; é possibile paragonare (o meglio modellare) questo processo con diversi algoritmi informatici [1], riproducendo con soprendente efficacia il comportamento di organismi biologici in diverse situazioni non banali [2] come, ad esempio, l'esplorazione dell'ambiente circostante.

Tuttavia non siamo essere perfettamente razionali, altrimenti non si spiegherebbero alcuni paradossi, come le sensazioni di paura o ansia, causate dall'incertezza sullo svolgimento delle azioni future ("scopi"), ma evidentemente controproducenti al raggiungimento degli stessi scopi, ciononostante esse sono sensazioni inevitabili per l'uomo ma totalmente estranee a un essere perfettamente razionale. Di nuovo, possiamo peró argomentare che la paura faccia parte dell'istinto, immaginando quindi che si possa avere una transizione da animale puramente istintivo a computer senza soluzione di continuitá, passando in particolare per l'uomo, e che queste sensazioni siano solo un retaggio ormai inutile dell'evoluzione.

Difatti, possiamo riprodurre artificialmente anche sensazioni e sentimenti con l'informatica e, in linea di principio, anche una manifestazione di consapevolezza, permettendo quindi di automodificarsi imparando dall'esperienza. Tuttavia, riprodurre non significa ricreare; ovvero, qualsiasi riproduzione artificiale costringerebbe un computer solamente a comportarsi come un essere umano, ma non ci sarebbe nessuno a provare tale sensazioni, che esistono solo in quanto un osservatore (chi ha creato l'algoritmo ad esempio) le interpreta come tali.

Allo stesso modo, si puó sostenere che le nostre sensazioni, la nostra consapevolezza di esistere, la capacitá di credere in ció che non possiamo conoscere ("fede"), l'amore (e quindi l'irrazionale) non esistano veramente, bensí siano solamente eventi interpretabili antropicamente come tali, essendo mere manifestazioni di un algoritmo biologico implementato in ciascuno di noi. In altre parole, solo il razionale esiste (il rapporto causa-effetto spiegabile con la logica) e l'irrazionale é un comportamento deterministicamente imposto dall'istinto, risultando pertanto solo appartentemente irrazionale (ovvero non spiegabile).

Ovviamente il libero arbitrio non trova spazio con l'interpretazione vista fin qui. Tuttavia, abbiamo una sottile differenza con un'intelligenza artificiale, ovvero sino ad oggi non é possibile localizzare totalmente nel mondo immanente istinto, razionalitá e volontá, a differenza di come é possibile localizzare un computer e il software che ne genera un comportamento. Come abbiamo visto per le entitá matematiche, non é detto che l'immanenza sia l'unica esistenza possibile, allo stesso modo il mondo dei nostri corpi e delle nostre menti biologiche non é a priori strettamente confinato nel mondo empirico, sebbene la loro restrizione sull'immanente sia tutto ció che possiamo conoscere tramite esperienze sensoriali.

Sembra una spiegazione totalmente non scientifica, in quanto abituati ad identificare la scienza con l'empirismo, tuttavia se non é possibile confinare e scomporre in mattoni semplici ("algoritmo") nemmeno la matematica, la disciplina piú logica e rigorosa che possediamo, come é possibile che la scienza abbia la presunzione di farlo con la mente, eliminando quindi l'esistenza del libero arbitrio, dei sentimenti e generando un'anarchia che potrebbe essere limitata solo da una morale di convenienza, non altrimenti necessaria?

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Intelligenza_artificiale
[2]http://en.wikipedia.org/wiki/Biologically-inspired_computing

lunedì, dicembre 1

LOGOS

Non é mia intenzione indirizzare questo blog verso un argomento specifico, ma verso la formazione completa dell'Uomo Rinascimentale; pertanto, é utile iniziare con una metanalisi, ovvero una riflessione su come riflettiamo. Entra quindi in gioco il linguaggio.

La maggior parte delle persone, vittima dell'educazione occidentale, pensa che la matematica sia una mera tecnica di calcolo, essa é invece la forma di letteratura piú precisa a nostra conoscenza; tuttavia, allo scopo di raggiungere questo traguardo, essa ha dovuto trascurare due elementi espressivi: semplicitá di comprensione e di utilizzo, limitando il proprio campo di applicazione. Difatti, mentre la letteratura classica é stata in grado di spaziare in ogni ambito, la matematica é a oggi limitata alla fisica e alla logica (in realtá ne é un fondamento), e ció che da queste consegue.

Si pongono immediatamente due quesiti fondamentali: ovvero se (i) tutto* sia eprimibile matematicamente e se (ii) tutta la matematica sia riducibile ad operazioni elementari. Iniziamo con un metaquesito: perché questi due quesiti sono cosí importanti?

Brevemente, essendo interessati al linguaggio, (i) afferma banalmente che tutto* é razionale, quindi prima o poi verrá descritto in maniera formale e rigorosa, implicando che la matematica sia nascosta anche sotto ogni aspetto appartenente all'arte, al pensiero o a qualsiasi sentimento; in maniera duale, (ii) afferma che sia concretamente dimostrabile che il tutto* sia limitato alla realtá empirica, mediante una triviale scomposizione di concetti complessi in operazioni piú semplici ("aritmetiche").

Non fornisco risposte personali a queste due quesiti, cosa peraltro non necessaria [1], tuttavia notiamo come mentre ancora non ci sia una controprova efficace a (i), il noto Teorema Di Gödel [2] ha fornito un severo colpo a (ii), mostrando come la scelta della logica alla base del linguaggio determini a priori le sue capacitá espressive (tecnicamente dette "coerenza" e "completezza"), lasciando intuire che, come pensava lo stesso matematico piú influente del XX secolo [3], il nostro pensiero non sia in grado di afferrare direttamente le veritá matematiche, in quanto esse possiedono una "natura" diversa dal linguaggio, unico strumento che sappiamo usare.
 
Questa diversa "natura" [4] induce a interpretare (i) come domanda mal posta, in quanto essendo le entitá matematiche altro rispetto a ció che é esprimibile, il tutto* conterrebbe loro stesse piú ció che é a loro riconducibile, e sarebbe di limitata valenza filosofica sapere che questa riduzione esiste, in quanto la loro natura ci rimarrebbe in ogni caso preclusa.

Che insegnamento possiamo trarre da questa discussione? Provo a fornire i seguenti spunti: il razionalismo materialista, secondo cui esiste solo la scienza, é miope e carente di umiltá verso ció che non possiamo esprimere; l'educazione attuale ci lascia ignoranti di tutto questo, portandoci a sviluppare una posizione dl relativismo umanistico, in cui la scienza é emarginata in quanto techné, oppure verso il suo opposto, rappresentato dal razionalismo materialista; il ragionamento-logico matematico va apprezzato e allenato nel quotidiano, sia perché utile sia perché affascinante almeno quanto una qualsiasi altra forma artistica.

[1] "I computer sono inutili, possono solo dare risposte." Picasso
[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Teoremi_di_incompletezza_di_Gödel
[3] http://www.time.com/time/time100/scientist/profile/godel.html
[4] http://it.wikipedia.org/wiki/Platonismo#Il_platonismo_matematico

*qualsiasi cosa significhi questo termine, che ho volontariamente lasciato indefinito in (i)